LA GIOCONDA
La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, è un
dipinto a olio su tavola di pioppo di Leonardo da Vinci, databile al
1503-1514 circa e conservata nel Museo del Louvre di Parigi. Opera emblematica
ed enigmatica, si tratta sicuramente del ritratto più celebre del mondo, nonché
di una delle opere d'arte più note in assoluto, oggetto di infiniti omaggi,
tributi, ma anche parodie e sberleffi. Il sorriso impercettibile della Gioconda,
col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, di
letteratura, di opere di immaginazione, di studi anche psicoanalitici. L'opera
rappresenta tradizionalmente Lisa Gherardini, cioè "Monna" Lisa (un diminutivo
di "Madonna" che oggi avrebbe lo stesso significato di "Signora"), moglie di
Francesco del Giocondo (quindi la "Gioconda"). Fu Leonardo stesso a portare con sé in
Francia, nel 1516, la Gioconda, che potrebbe essere stata poi acquistata,
assieme ad altre opere, da Francesco I.
Più tardi Luigi XIV fece trasferire il dipinto a Versailles. Dopo la
Rivoluzione francese, venne spostato al Louvre. Napoleone Bonaparte lo fece
mettere nella sua camera da letto, ma successivamente tornò al Louvre.
Il furto della Gioconda avvenne la notte tra domenica 20 e lunedì 21 agosto
1911, prima di un giorno di chiusura del museo; della sottrazione si accorse
lunedì stesso un copista, Louis Béroud, che aveva avuto il permesso per
riprodurre l'opera a porte chiuse. La notizia del furto fu ufficiale solo di
martedì, anche perché all'epoca non era infrequente che le opere venissero
temporaneamente rimosse per essere fotografate. Era la prima volta che un
dipinto veniva rubato da un museo, per di più dell'importanza del Louvre, e a
lungo la polizia brancolò nel buio. In realtà un ex-impiegato del Louvre,
Vincenzo Perugia, originario di Dumenza, cittadina nei pressi di Luino, convinto
che il dipinto appartenesse all'Italia e non dovesse quindi restare in Francia,
lo aveva rubato, rinchiudendosi nottetempo in uno sgabuzzino e, trascorsavi la
notte, uscendo dal museo a piedi con il quadro sotto il cappotto: egli stesso ne
aveva montato la teca in vetro, quindi conosceva come sottrarlo. Il ritratto
mostra una donna seduta a mezza figura, girata a sinistra ma con il volto
pressoché frontale, ruotato verso lo spettatore. Le mani sono dolcemente
adagiate in primo piano, mentre sullo sfondo si
apre un vasto paesaggio fluviale. Indossa una pesante veste scollata, secondo la moda
dell'epoca, con un ricamo lungo il petto e maniche in tessuto diverso; in testa
indossa un velo trasparente che tiene fermi i lunghi capelli sciolti. Considerando la grande cura di Leonardo per i dettagli, molti esperti ritengono che non si tratti di uno sfondo inventato, ma rappresenti anzi un
punto molto preciso della Toscana, cioè là dove l'Arno supera le campagne di
Arezzo e riceve le acque della Val di Chiana. C'è un indizio preciso sulla
destra della Gioconda oltre la spalla, è un ponte basso, a più arcate, cioè un
ponte antico, a schiena d'asino di stile romanico, un ponte identico al ponte a
Buriano che scavalca tutt'oggi l'Arno e che venne costruito in pieno Medioevo, a
metà del XIII secolo, quando Arezzo attraversava un periodo di grande prosperità.
dipinto a olio su tavola di pioppo di Leonardo da Vinci, databile al
1503-1514 circa e conservata nel Museo del Louvre di Parigi. Opera emblematica
ed enigmatica, si tratta sicuramente del ritratto più celebre del mondo, nonché
di una delle opere d'arte più note in assoluto, oggetto di infiniti omaggi,
tributi, ma anche parodie e sberleffi. Il sorriso impercettibile della Gioconda,
col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, di
letteratura, di opere di immaginazione, di studi anche psicoanalitici. L'opera
rappresenta tradizionalmente Lisa Gherardini, cioè "Monna" Lisa (un diminutivo
di "Madonna" che oggi avrebbe lo stesso significato di "Signora"), moglie di
Francesco del Giocondo (quindi la "Gioconda"). Fu Leonardo stesso a portare con sé in
Francia, nel 1516, la Gioconda, che potrebbe essere stata poi acquistata,
assieme ad altre opere, da Francesco I.
Più tardi Luigi XIV fece trasferire il dipinto a Versailles. Dopo la
Rivoluzione francese, venne spostato al Louvre. Napoleone Bonaparte lo fece
mettere nella sua camera da letto, ma successivamente tornò al Louvre.
Il furto della Gioconda avvenne la notte tra domenica 20 e lunedì 21 agosto
1911, prima di un giorno di chiusura del museo; della sottrazione si accorse
lunedì stesso un copista, Louis Béroud, che aveva avuto il permesso per
riprodurre l'opera a porte chiuse. La notizia del furto fu ufficiale solo di
martedì, anche perché all'epoca non era infrequente che le opere venissero
temporaneamente rimosse per essere fotografate. Era la prima volta che un
dipinto veniva rubato da un museo, per di più dell'importanza del Louvre, e a
lungo la polizia brancolò nel buio. In realtà un ex-impiegato del Louvre,
Vincenzo Perugia, originario di Dumenza, cittadina nei pressi di Luino, convinto
che il dipinto appartenesse all'Italia e non dovesse quindi restare in Francia,
lo aveva rubato, rinchiudendosi nottetempo in uno sgabuzzino e, trascorsavi la
notte, uscendo dal museo a piedi con il quadro sotto il cappotto: egli stesso ne
aveva montato la teca in vetro, quindi conosceva come sottrarlo. Il ritratto
mostra una donna seduta a mezza figura, girata a sinistra ma con il volto
pressoché frontale, ruotato verso lo spettatore. Le mani sono dolcemente
adagiate in primo piano, mentre sullo sfondo si
apre un vasto paesaggio fluviale. Indossa una pesante veste scollata, secondo la moda
dell'epoca, con un ricamo lungo il petto e maniche in tessuto diverso; in testa
indossa un velo trasparente che tiene fermi i lunghi capelli sciolti. Considerando la grande cura di Leonardo per i dettagli, molti esperti ritengono che non si tratti di uno sfondo inventato, ma rappresenti anzi un
punto molto preciso della Toscana, cioè là dove l'Arno supera le campagne di
Arezzo e riceve le acque della Val di Chiana. C'è un indizio preciso sulla
destra della Gioconda oltre la spalla, è un ponte basso, a più arcate, cioè un
ponte antico, a schiena d'asino di stile romanico, un ponte identico al ponte a
Buriano che scavalca tutt'oggi l'Arno e che venne costruito in pieno Medioevo, a
metà del XIII secolo, quando Arezzo attraversava un periodo di grande prosperità.